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Sullo scambio filosofico italo-tedesco sotto il profilo traduttivo

  • Writer: Staff
    Staff
  • Aug 23, 2022
  • 2 min read

Considerando la pratica della traduzione quale fattore chiave per la diffusione internazionale di un lascito intrinsecamente legato alla testualità, e ancor più auspicabile in linea ideale per la discussione in tempo reale delle sue tappe in via di articolazione prima che esso si rinchiuda in se stesso come lascito complessivo, la persistenza di uno stato dell’arte squilibrato in merito allo scambio tra Germania e Italia in ambito strettamente filosofico è ormai cosa nota e non richiede alcun apporto diagnostico originale, visto che la denuncia di tale perdurante asimmetria proveniente dalla “parte lesa”, ovvero dalla filosofia italiana contemporanea, si è fatta sempre più pressante nel primo ventennio del XXI secolo, proprio mentre quest’ultima, almeno attraverso alcuni suoi esponenti e un certo filone di filosofia politica, ha rivendicato e ottenuto un’inconsueta risonanza internazionale – fregiandosi con un malcelato compiacimento provincialistico dell’etichetta anglofila di Italian Theory o Italian Thought – grazie a un’attenzione traduttiva crescente anche al di fuori del circuito anglofono principale della discussione globale.


Se da una parte è storia arcinota che il mondo germanofono abbia saputo accentrare su di sé negli ultimi secoli i destini ultimi della filosofia con le vette speculative dell’Idealismo Tedesco, ma anche quelli della sua successiva contestazione, appare infatti altrettanto incontestabile che la filosofia italiana contemporanea risulti ancora in Germania, in buona parte, terra incognita quanto a una selezione sistematica di suoi contributi con un minimo di rilevanza. Certamente è possibile attribuire la perdurante disattenzione traduttiva di filosofe e filosofi italiani in Germania al persistere fuori tempo massimo di un’interdizione ideologica di stampo accademico-editoriale (Italica sunt, non leguntur), che dall’Italia è stata parzialmente aggirata a partire dagli anni Ottanta grazie a figure della mia (formale) provenienza filosofica, ossia della cosiddetta Turiner Schule, anche se nel caso di Umberto Eco la fortuna del romanziere ha contribuito non poco alla traduzione in serie del saggista, e nel caso di Gianni Vattimo con il Pensiero Debole va analizzata l’incongruenza paradigmatica della selezione traduttiva in tedesco. Quanto a filosofi di altra provenienza o formazione, la presenza per esempio di Massimo Cacciari secondo i titoli tradotti o direttamente pubblicati in tedesco non rispecchia a sua volta la selezione di suoi libri basilari. Le loro sorti in Germania appaiono comunque migliori rispetto a figure come Luigi Pareyson, da più parti indicato – e non è questa la sede per contestarlo – come il maggiore filosofo italiano del secondo Novecento, così concentrato sull’assimilazione dell’Idealismo Tedesco e sull’interpretazione del suo crollo da risultare paradossalmente non tradotto proprio in Germania, se non a partire dagli ultimissimi anni e per chiara iniziativa di filosofi italiani a contatto con l’accademia tedesca. Emanuele Severino, l’unico filosofo italiano contemporaneo citato da Martin Heidegger in uno dei suoi Quaderni neri, lamentava con il sottoscritto l’insufficienza delle scelte traduttive operate all’ultimo minuto per l’unica edizione tedesca di un suo libro, ormai risalente al 1983. Gli esempi di altezzosa disattenzione teutonica nei confronti di altre figure filosofiche nostrane potrebbero continuare, tanto che il “dossier geofilosofico” Italia-Germania non consente in effetti di parlare di uno scambio alla pari, e quindi di uno scambio in generale.


[…]


[Dal contributo per gli atti di un convegno tenutosi nel 2021 a Villa Vigoni]

 


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© 2023 by Giovanni Battista Demarta                                                                                                                                                                                                                          impressum

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